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food concept - page 3

Elementi negli alimenti: c’è chimica e chimica!

in Ingredients/Products/SCIENCE

Carbonio, Idrogeno, Ossigeno e Azoto.
Come intervengono nella nostra vita culinaria?
Uniti tra loro possono dare vita ad una serie quasi infinita di alimenti contenenti Proteine, Carboidrati, Grassi e Fibre. Degli “agglomerati commestibili” creati da madre natura combinando insieme pochi elementi.


Al supermercato: “mi potrebbe dare una fetta roast-beef per alimentare il mio desiderio di [R-H2N-CH-COOH]n e di [CH2COOR-CHCOOR’-CH2-COOR]“? Certamente, risponde l’addetto. “Le consiglio inoltre di condire il tutto con del Piper nigrum che contiene C17H19NO3 il quale sembra favorisca l’assimilazione di molti nutrienti!”


Che ne dite? Suona male o basterebbe solo “farci l’orecchio”? La chimica non è da bandire in ogni caso e ad ogni costo. E’ vero che l’utilizzo degli additivi è a volte “inutile” o comunque “limitabile”. E’ altrettanto doveroso ricordare però che la chimica è anche natura. La chimica nel piatto potrebbe essere rivalutata insomma, almeno di tanto in tanto e per quanto riguarda l’alimento in sé.


Discorso leggermente diverso si potrebbe aprire per i cibi confezionati anche se è bene ricordare che non tutto ciò che è chimico è sinonimo di veleno. Moltissimi alimenti “confezionati” che troviamo al supermercato o in negozio sono “chimicamente naturali”. Sarebbe bello esistesse l’albero dei biscotti, il ruscello della cioccolata e la pianta della pasta. Per fortuna, date tali assenze, l’uomo ha saputo prendere elementi presenti in natura, combinarli e creare con la propria fantasia migliaia di leccornie che deliziano ogni giorno i nostri palati e in tal senso l’industrializzazione ha permesso di estendere questo piacere ad un numero sempre maggiore di persone.


In fin dei conti, siamo nel ‘500 quando Paracelso dice: “Omnia venenum shunt: nec sine veneno quicquam existit. Dosis sola facit, ut venenum non fit“. Tutto è veleno e nulla esiste senza veleno. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto.

 

Let’s food together!

Minimal food eating design

in WORLD

FOOD in progress ha hecho una parada en el centro de Valencia donde acaba de abrir sus puertas un local muy interesante: EL DOSLocal intrigante de “diseño minimalista” donde puedes disfrutar de tapas,cervezas y gin-tonic únicos.

La relación entre precio y calidad es excelente y la amabilidad del personal es única.
Gracias especiales a Nacho y Mario por sus hospitalidad y cortesía.

Estos son unos de los platitos que hemos probado y gustado..por supuesto!:

para empezar el día y picar algo …

y por la noche…

– queso al romero y crema de gin tonic

 

– jamón, lomo y compañeros

 

– Ensalada con avocado, langostinos, soja, cebolla y rúcula



y además..


Las ginebras hábilmente mezcladas con differentes aguas tónica especiales disponibles son una maravilla:

 

– Bombay Sapphire y Schweppes Azahar Lavanda (bajo), Martin Miller’s gin y Schweppes Ginger Cardamomo sólo para nombrar unos cuantos..

 

Let’s tapas together!

 

 

Flavour or flower?

in Ingredients/Products/SCIENCE

Ogni profumo, il suo nome ! Quando un profumo aleggia nell’aria siamo soliti ad identificare una sostanza con qualcosa di famigliare, una associazione nascosta nella memoria.

E negli alimenti o nelle bevande?

flavour

Nel vino da esempio, ci possono essere delle sostanze chimiche che ci ricordano o riproducono un determinato profumo?

Sicuramente si ed alcuni esempi “floreali” li riportiamo nella tabelle che segue:

cosa

profumo di

aldeide anisica

biancospino

cumarina

erbaceo

mentolo

menta

eugenolo

garofano

geraniolo

rosa

idrossicitronellale

tiglio

acetato di benzile

gelsomino

Let’s food together!

“Fresh” come fresco!

in Ingredients/Products/SCIENCE

Fresh! È forse una delle parole più gettonate in questa calda estate. La troviamo in caramelle, chewing-gum, drink, soft-drink e non solo. La domanda che ci si potrebbe fare è: cosa rende fresh un alimento?

fresh drink

Ci sono molti fattori che contribuiscono a regalare questa bella sensazione.

Proviamo ad elencarne alcuni pensando ad una bibita gassata.

1- Temperatura: quasi logico! Tanto più bassa, tanto più fredda. Il Nostro corpo, a 37 °C circa, viene “raffreddato” dall’interno e questo permette di regalarci un effetto freddo. Occhio però: non è mai buona norma bere bibite troppo fredde, soprattutto se il nostro fisico è accaldato. Bere piuttosto frequentemente ma a piccoli sorsi. Generalmente, una temperatura di 10-12 °C è più che sufficiente a non nuocere e regale comunque una gradevole sensazione.

2- CO2 (anidride carbonica): è tanto più solubile quanto più fredda è la bevanda nella quale è contenuta. Questo spiega anche perché bere una “cola” o uno “spumante” a temperatura ambiente (20 °C) non è proprio la migliore idea! Le bollicine contribuiscono a “solleticare” il palato e “frizzando” raffreddano il cavo orale.

3- Acido citrico, acido malico e acido tartarico: sono i principali acidi della frutta. Il citrico degli agrumi, il malico delle mele, il tartarico dell’uva esaltano sia gli aromi che la freschezza globale. In molte etichette vengono indicati anche come “correttori di acidità” o “idrossiacidi” (della frutta) in alcuni nutraceutici.

4- Zuccheri: alcuni hanno una capacità “rinfrescante” maggiore di altri e per tale loro proprietà vengono impiegati e sfruttati in modi più o meno creativi nell’industria alimentare. A seguire riportiamo alcuni valori di “effetto fresh” relativi ad alcune sostanze dolci: xylitolo, 6,7; sorbitolo, 4,4; fruttosio, 2,6; isomalto 2,1; saccarosio 1.

I punti 3 e 4 spiegano almeno in parte perché le bibite a base di frutta, che spesso contengono acido citrico e fruttosio, sono così interessanti per l’industria delle bevande e diffuse nei periodi estivi.

Una ricetta per un eatdrink estivo?

– 3 cucchiai di ghiaccio tritato (o alcuni cubetti di ghiaccio)
– spremuta di 2 arance medie
– spremuta di mezzo limone
– una mela verde frullata
– 1-2 cucchiaini di fruttosio
– a volume con dell’acqua gassata fresca
– eventualmente dei frutti di bosco come guarnizione

Preparare gli ingredienti, miscelare bene in un bicchiere grande e servire quanto più fresca possibile!

 

Let’s food together!

Magia sensoriale e alta cucina

in WORLD

Capita raramente di sollecitare tutti i sensi ai massimi livelli per l’intera durata di un pasto ma quando si è ospiti nel ristorante Miramonti l’altro di Concesio a Brescia tutto ciò accade.

La cordialità di Mauro e Daniela Piscini ed il personale molto cortese e preparato ci accolgono in una villetta neoclassica incantevole senza eccessi, dagli interni raffinati e dai colori tenui, quasi fosse la tela candida dove si compirà, all’entrata di ogni portata, una piccola opera d’arte ricca di sapori, profumi e colori. La magia sensoriale che sprigiona l’alta cucina dello chef  bretone Philippe Leveillé si basa su piatti di grande tradizione territoriale robusti e sapidi affiancati a piatti molto innovativi e delicati che, in perfetto equilibrio, ci suggeriscono vere e proprie emozioni.

Ecco qualche immagine di ciò che abbiamo avuto il piacere di gustare.

ENTRE’

Hamburger di tonno con bottarga e salsa di ostriche

ANTIPASTI

Antipasto al modo Miramonti di Caino dal 1963

Selezione di affettati stagionati e tartare di manzo

Lumache con polenta tiragna e salsiccia

Noci di capesante con marinata di asparagi e pomodorini confit e carciofi croccanti

 

PRIMI PIATTI

Maccheroni al salmì di cacciagione

Carbonara di gamberi rossi con schiuma di pepe

 

SECONDI PIATTI

Galletto alla griglia con agretto all’aglio e prezzemolo

 

FORMAGGI

Selezione di formaggi

 

DESSERT

Gelato al frutto della passione con granella e banane essiccate

Biscotto di tiramisù gelato alla menta e liquirizia

Piccola pasticceria servita con un gelato yougurt salsa mela e curcuma frizzante

VINI

bianco: kaiton sudtirol riesling
vernaccia sudtirol schiava gentile
rosso: ca rugate – rio bo

Provare per credere!

Let’s food together!

Miele De.Co.: il progetto nella valle del Chiampo

in Cultures and Trends/WORLD

Il 13 Giugno si è tenuto a Chiampo presso l’auditorium comunale il convegno “La produzione di miele di qualità nella Valle del Chiampo: il progetto De.Co.“.

Eccoci qui – introduce il sindaco di Chiampo Antonio Boschetto – per iniziare, seguendo la scia della Ciliegia durona di Chiampo e della Cincionela co la rava, un nuovo percorso De.Co. per un altro prodotto tipico del territorio: il miele. Questo dolce e prezioso alimento ha varcato, grazie ai produttori, i confini di casa propria  ottenendo prestigiosi riconoscimenti di qualità a livello nazionale. Un vanto per la comunità.

Cos’è la Denominazione Comunale (De.Co.)?

Luigi Veronelli – spiega Paola Franco, presidente tavolo coordinamento comuni De.Co. – a metà degli anni 90, girando per l’Italia nei suoi tour enogastronomici, si rese conto che a fianco dei più rinomati prodotti DOP, IGP, ecc..c’erano molti specialità che, se pur prodotte in quantità modeste, erano di eccelsa qualità e creati con maestria e grande passione. Veronelli pensò quindi di creare la De.Co. (Denominazione Comunale) affinché fosse il sindaco di un territorio a decretare la tipicità e l’origine del prodotto.

L’ANCI, oltre a promuovere e a divulgare il “Progetto De.Co.”, ha emesso ed unificato il marchio che viene ad oggi utilizzato in tutta Italia.

Secondo stime ufficiali si pensa che per la fine dell’anno in corso, la provincia di Vicenza conterà circa 70 prodotti De.Co., alla promozione dei quali contribuirà sicuramente la “magnifica confraternita dei ristoratori De.Co.” che nei loro menù inseriranno una ricca lista di prodotti tipici.

L’intervento del Dott. Franco Mutinelli, Direttore del Centro regionale apicoltura ha toccato diversi temi inerenti le peculiarità dell’apicoltura: il settore – dice il Direttore -ha bisogno di iniziative volte a far conoscere l’apicoltura non solo per il miele, ma anche per quello che avviene prima che questo sia confezionato ed è altrettanto importante che il disciplinare per il miele De.Co. indichi le caratteristiche principali per la corretta conduzione degli alveari oltre che specificare i parametri qualitativi del prodotto finito.

Quello dell’apicoltura, è un settore che sta vivendo un momento particolare, dove ogni giorno si combatte per la sopravvivenza dell’ape: malattie e parassiti sono solo alcune delle cause che mettono in pericolo questo insetto. L’ape, importante e fondamentale elemento per l’impollinazione e la vita vegetale, deve affrontare sempre più spesso la convivenza con il mondo agricolo fatto si di colture naturali ma anche di antiparassitari e inquinamento che sortiscono effetti deleteri al suo ciclo vitale.

In tal senso, a livello comunitario, ci si sta muovendo in diverse direzioni al fine di tutelare la salute dell’ape tant è che, prima di essere posti in commercio, i nuovi fitofarmaci devono superare i test di tossicità (innocuità) sull’ape.

Il Dott. Renato Pellicciotta, veterinario Ulss 5, ha toccato il tema della legislazione ed analizzato alcuni interessanti dati. Il miele, oltre alle leggi Europee e Nazionali deve sottostare ad alcune Leggi Regionali – esordisce Pellicciotta –  nello specifico, la Legge Regionale (Veneto) 23/1994 e la Legge Regionale 14/2006.

Alcuni numeri nell’area dell’Ulss 5:

  • 154 gli apicoltori
  • 3241 gli alveari censiti a fine 2011, contro i 2983 del 2007
  • oltre 61000 alveari in veneto (ogni alveare è costituito da circa 60-70000 api)
  • il 50% degli apicoltori possiede da 1 a 10 arnie, il 38% dalle 11 alle 40 arnie, l’8% da 41 e 50, il 4% da 51 a 100 e solo 7 aziende possiedono più 101 arnie. 15 apicoltori dichiarano di praticare il nomadismo e solo 12 sono le relative certificazioni. 7 gli apicoltori nomadi in entrata (115 arnie).
  • gli alveari a Chiampo sono 363 mentre nella zona di Arzignano 541.
  • gli addetti del settore hanno età comprese tra i 18 ai 95 anni, il 70% dei quali ha oltre i 65 anni.
  • 23 sono i laboratori di smielatura registrati, 20 quelli hobbistici e  13 le registrazioni per il trasporto e la vendita su aree pubbliche.

È un settore che nel territorio è privo di realtà industriali, popolato principalmente da appassionati, i pochi giovani presenti non riescono a raggiungere sufficiente esperienza e l’affiancamento dura poco. Il nomadismo è poco praticato e c’è uno scarso ricambio generazionale.

L’etichettatura del miele fa riferimento ai Decreti Legislativi 109/1996, 181/2003 e 179/2004 e le indicazioni che i devono riportare sono:

  • la denominazione di vendita (miele)
  • il nome o ragione sociale del produttore
  • sede e indirizzo del produttore (o del confezionatore)
  • quantità
  • lotto
  • sigillo di garanzia di integrità della confezione (peculiarità del miele)
  • termine minimo di conservazione (TMC)
  • indicazione del Paese di origine

La legislazione prevede anche la possibilità di inserire in etichetta “indicazioni facoltative” e la De.Co. rientra tra queste così come l’indicazione d’uso, la modalità di conservazione e la data e/o la campagna di produzione.

Ci vediamo a Genova dal 23 al 25 novembre per l’Expo dei prodotti De.Co.

 

Potere dolcificante: dolce o dolcificato?

in Ingredients/Products/SCIENCE

Ogni mattina milioni di Italiani ancor prima di poter prendere contatto con la realtà hanno già bevuto il caffè, chi con lo zucchero, chi senza e chi altro con un dolcificante sintetico.
In realtà, tutte le sostanze che vengono impiegate allo scopo di rendere “dolce” un prodotto alimentare possono essere identificante come dolcificanti o edulcoranti. In realtà ciò che li differenzia è la loro natura/origine che può essere naturale o sintetica.
Caratteristica che li accomuna però è la loro capacità addolcente (potere dolcificante) e nella tabella che segue si può vedere di quanto ogni una si discosti dallo zucchero bianco da cucina (saccarosio) per convenzione preso a riferimento:

TABELLA POD
In pratica
questo significa che per raggiungere lo stesso grado di dolcezza in un prodotto si utilizzeranno quantità inferiori di edulcoranti con valore superiore ad 1 mentre se ne userà di più se il valore è inferiore ad 1.

Esempio: 1 grammo di saccarosio sciolto in 100 grammi di acqua ha lo stesso potere dolcificante di 0,74 grammi di fruttosio, 3,3 grammi di sciroppo di glucosio 42 DE, di 1,3 grammi di miele, 1,1 grammi di maltitolo, 1,66 grammi di sorbitolo, 0,001 grammi di sucralosio, 0,005 grammi di acesulfame K, e così via.

In un noto prodotto (chewing gum sugarfree) abbiamo riscontrato un valido esempio di utilizzo degli edulcoranti. Riportiamo la lista ingredienti: edulcoranti: maltitolo, sciroppo di maltitolo, sorbitolo, mannitolo, xilitolo, aspartame, acesulfame k, sucralosio – gomma base – aromi – addensanti: gomma arabica, E466, E415 – stabilizzante: glicerolo – coloranti: E171, E133 – maltodestrine – gelatina alimentare – amido di mais – emulsionanti: lecitine (soia), E473 – agente di rivestimento: cera di carnauba – antiossidante: E320.

Dal punto di vista applicativo ogni edulcorante ha delle proprie caratteristiche e determinati comportamenti chimico-fisici che sono influenzati da diversi fattori: acidità, temperatura, contenuto di acqua, contenuto di sale, ecc.

Ora, prendiamo come esempio il fruttosio, spesso utilizzato come alternativa naturale al comune zucchero: la dolcezza del fruttosio non è solo maggiore rispetto a quella del destrosio e del saccarosio ma a parità d condizioni la si percepisce prima e in modo più intenso. Quindi in un succo di frutta l’utilizzo di questo zucchero permetterà di attenuarne l’acidità e accentuarne l’aroma.

Lo stesso zucchero messo nel caffè a 65 °C o a 45°C viene percepito in modo diverso: meno dolce nel primo caso, più dolce nel secondo. Infatti a temperature maggiori di60 °C il fruttosio inizia a decomporsi perdendo progressivamente la propria caratteristica edulcorante.

Una curiosità: avete mai pensato al perché in numerose ricette di pasticceria molto spesso viene consigliato di aggiungere un pizzico di sale? Ma soprattutto, vi siete mai chiesti a quanto corrisponda “un pizzico di sale”? La risposta: meno di 1 grammo (1/3 di cucchiaino da caffè) per Kg di prodotto. In queste quantità il sale è un ottimo esaltatore di dolcezza.

Indice glicemico (IG) e carico glicemico (CG)

in Ingredients/Products/SCIENCE

Avete mai sentito parlare di Indice Glicemico (GI) e di Carico Glicemico (GL)?

I primi studi inerenti il GI rislagono agli inizi degli anni 80 mentre le notizie di una certa portata pubblica sorgono associate al metodo Montignac: una dieta basata essenzialmente sull’ingestione di alimenti a basso indice glicemico e sulla quale non divaghiamo (approfondimenti qui).

Successivamente, fino ai giorni nostri, se ne sono perse un po’ le tracce. L’indice glicemico (GI, Glycaemic Index) è un parametro che viene utilizzato per rappresentare la velocità con cui varia la concentrazione di zuccheri nel sangue in seguito all’ingestione di una determinata quantità di un alimento rispetto ad uno standard di riferimento.

Parlare in questi termini è semplicistico perché il GI dipende da diversi fattori (composizione dell’alimento, del pasto,..) e per integrare le informazioni derivanti da tale valore è stato introdotto il concetto di Carico Glicemico (GL, Glycemic Load).

Il carico glicemico è il parametro che si ottiene moltiplicando il valore dell’indice glicemico per il contenuto di carboidrati (zuccheri) presenti nell’alimento considerato.

Con l’esempio che segue, è evidente che il secondo parametro ci fornisce informazioni più precise: 100 grammi di banana (GI pari a circa 58) si possono comparare a 100 grammi di noodles di riso (GI pari a circa 58)? Si, se consideriamo solo l’GI. No, se consideriamo GI e GL.

La banana contiene circa il 15% di carboidrati e da qui un carico glicemico pari a (58 x 15) / 100 = 8,7, mentre i noodles di riso, che ne contengono circa il 79%, hanno un carico glicemico di (58 x 79) / 100 = 45,8. Questo ci porta a concludere che, almeno dal punto di vista considerato, 100 grammi di noodles di riso variano la glicemia (e il rilascio di insulina) molto di più e più velocemente che 100 grammi di banana.

A seguire qualche valore medio di GI e GL associato ad alcuni alimenti mentre una tabella più completa la potete trovare qui.

indice_carico_glicemico

Perché si ritiene siano così importanti questi valori?

Alcuni studi avrebbero osservato la relazione tra consumo di cibi a basso GI e protezione contro lo sviluppo di obesità, diabete, cancro al colon e al seno dai quali ne deriva schematicamente e in maniera semplificata che cibi con basso GI permettono la prevenzione e il mantenimento di buona salute mentre il consumo di cibi ad alto GI esporrebbe a maggior rischio di patologie.

Dato che le maggiori organizzazioni mondiali quali FAO, WHO, FDA e i maggiori esperti in nutrizione considerano i carboidrati, la migliore fonte di energia per il corpo umano e, ad oggi, appropriato un apporto giornaliero di carboidrati pari a 300 g equivalenti a circa il 55-60% della calorie totali (su una media per persona adulta di 2000 Kcal) , non c’è motivo di allarmarsi troppo soprattutto se abbiniamo uno stile di vita che preveda quotidiano esercizio fisico. E’ sicuramente importante però scegliere questi nutrienti in modo mirato e preferire, quando possibile, cibi integrali a quelli raffinati, pasta al dente a quella molto cotta; garantire al proprio organismo il giusto apporto di frutta e verdura e non eccedere, senza privarsene, in zucchero e dolci. Tutto questo sarà più facile dopo i lauti pranzi Pasquali!

Per un approfondimento: “International table of glycemic index and glycemic load values” (articolo dell’American Journal of Clinical Nutrition).

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